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231: l’Ente può beneficiare della messa alla prova?

  • Immagine del redattore: Maria Valeria Feraco
    Maria Valeria Feraco
  • 28 apr 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 11 mag 2022

Con la recentissima ordinanza n. 15493 del 23 marzo è stata rimessa alle SS.UU. della Suprema Corte la risoluzione del quesito di diritto “se il procuratore generale sia legittimato a proporre impugnazione avverso l'ordinanza che ammette l'imputato alla messa alla prova ai sensi dell'art. 464 bis c.p.p. e avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 464 septies c.p.p.”.

Nel caso di specie, il Tribunale di Trento, con sentenza del 18 dicembre 2019, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di una società chiamata a rispondere del reato di cui all’art. 25 septies d. lgs. 231/01 in relazione al delitto di cui all'art. 590 comma 3, c.p., essendo lo stesso estinto per esito positivo della messa alla prova. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’Appello, deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, per non essere l'istituto della messa alla prova previsto dall'art. 168 bis c.p.p. applicabile agli enti.

In attesa che le SS.UU. si pronuncino sul quesito di natura processuale inerente alla legittimazione del PG ad impugnare l’ordinanza ammissiva alla messa alla prova (e la successiva sentenza emessa all’esito), l’ordinanza in questione offre comunque l’occasione per svolgere alcune considerazioni di natura sostanziale e fare il punto sullo “stato dell’arte” in merito all’applicabilità dell’istituto della messa alla prova agli enti imputati ex d. lgs. 231/01.

Si tratta, infatti, di un tema piuttosto dibattuto che non ha ancora trovato un definitivo approdo giurisprudenziale, quantomai opportuno ed urgente in ragione delle evidenti difformità di trattamento che ne stanno derivando nella prassi.

Ed infatti, una parte della giurisprudenza di merito[1] ha sostenuto la non applicabilità della messa alla prova alle società imputate ai sensi del d. lgs. 231/01 sulla scorta di diversi ordini di considerazioni:

a) Natura sostanziale dell’istituto in questione, che precluderebbe come tale il ricorso all’analogia in ossequio all’art. 25 comma 2 Costituzione;

b) Incertezze operative legate all’assenza di una normativa di raccordo che determini l’ambito di applicazione della messa alla prova agli enti ed i relativi requisiti per l’ammissione al beneficio;

c) Caratteristiche proprie dell’istituto della messa alla prova, calibrato sulla figura dell’agente persona fisica, prevedendone un programma di trattamento volto ad un percorso di risocializzazione, attraverso attività di volontariato e lavori di pubblica utilità, caratteristiche che lo renderebbero non replicabile nel caso in cui l’autore dell’illecito sia una persona giuridica;

d) Sostanziale sovrapposizione con le prescrizioni dettate dall’art. 17 d. lgs. 231/01 che – come noto – consente all’ente di evitare l’applicazione delle sanzioni interdittive purché vengano rispettate una serie di prescrizioni, tra cui l’adozione di un MOG che elimini le carenze organizzative che avevano determinato il reato.

Anche la giurisprudenza di legittimità ha negato l’applicabilità dell’istituto della messa alla prova all’ente imputato ex d. lgs. 231/01, sul rilievo – questa volta – della natura amministrativa della responsabilità di cui al decreto, che – come tale – precluderebbe l’applicazione di istituti di natura penale[2].

A fronte di tale “chiusura”, si registra tuttavia anche un orientamento interpretativo – seppur minoritario - di segno opposto, secondo cui anche gli enti possono accedere alla sospensione del procedimento con messa alla prova. In tal senso, oltre – evidentemente - all’Ordinanza del Tribunale di Trento impugnata (unitamente alla sentenza) dal PG nel caso rimesso al vaglio delle SSUU, si richiama l’Ordinanza del GIP del Tribunale di Modena del 21 settembre 2020, che ha accolto l’istanza avanzata da una società attiva nel settore della produzione di generi alimentari, indagata per l’ipotesi di cui all’art. 25 bis1 del decreto, in relazione al reato previsto dall’art.515 c.p., in considerazione di un programma contenente l’impegno: a) alla eliminazione degli effetti negativi dell’illecito; b) al risarcimento degli eventuali danneggiati; c) al restyling del modello di organizzazione e gestione; d) allo svolgimento di una attività di volontariato consistente nella fornitura gratuita di una parte della propria produzione in favore di un organismo religioso che gestisce un punto di ristorazione rivolto a persone bisognose[3].

La giurisprudenza di merito ha anche fatto registrare una posizione intermedia tra i due estremi sopra descritti, che riconosce la possibilità in astratto per la società di accedere all’istituto, ma solo a condizione che l’Ente si sia dotato, prima del fatto, di un modello di organizzazione gestione e controllo. Solo in questa ipotesi, infatti, potrebbe ritenersi dimostrato, da parte dell’ente, un livello di diligenza tale da consentire un giudizio prognostico positivo in merito alla sua futura “rieducazione”[4].

A fronte dell’eterogeneo quadro giurisprudenziale sopra brevemente descritto, la dottrina si è mostrata per lo più favorevole all’applicabilità della messa alla prova agli enti[5], nell’ottica di una probation che ne valorizzi la capacità di riorganizzazione – anche attraverso interventi migliorativi del modello di organizzazione gestione e controllo già adottato – contribuendo, in ultima analisi, alla diffusione tra le aziende di quella cultura della compliance quale vero e proprio asset strategico che costituisce la ratio del decreto 231.[6]

Si tratta di considerazioni che, ad avviso di chi scrive, meritano di essere condivise, auspicando comunque un intervento chiarificatore della Suprema Corte o – meglio ancora – del Legislatore che, oltre a dissipare ogni dubbio in ordine all’applicabilità dell’istituto, stabilisca le condizioni per accedervi e ne delinei i profili operativi.




[1] Cf., in particolare Ordinanza Tribunale di Spoleto 21 aprile 2021, Ordinanza Tribunale di Milano, sez. pen. XI, 27 marzo 2017. [2] Cf. Cass., Sez. III, 2 novembre 2020 n. 30305 [3] L’ordinanza è pubblicata in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 10, con commento di Cf. G. Garuti - C. Trabace, Qualche nota a margine della esemplare decisione con cui il Tribunale ha ammesso la persona giuridica al probation. [4] In tal senso Tribunale di Modena, Ordinanza 15 dicembre 2020. [5] Cf. V. Drosi – A. Di Prima, Messa alla prova per l’ente: brevi note ad una recente ordinanza del Tribunale di Spoleto, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 9 e G. Garuti – C. Trabace, cit. [6] In questi termini Pecorario L., Analisi ragionata in tema di messa alla prova dell’ente (commento a Tribunale di Spoleto, ord. 21 aprile 2021), in Rivista 231, 2021.


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