La privacy ai tempi del coronavirus
- Maria Valeria Feraco
- 6 mar 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 7 apr 2022
Pare che, nel tentativo di prevenire e contenere la diffusione del virus, il governo della Corea del Sud stia inviando ai cittadini, attraverso le autorità sanitarie dei "messaggi di orientamento sulla sicurezza". Secondo quanto riporta il quotidiano la Repubblica, si tratta di SMS che, oltre a ricordare alle persone di lavarsi accuratamente le mani e di non toccarsi il viso. “Tracciano i movimenti degli infetti utilizzando dati Gps, riprese delle telecamere di sorveglianza e le transazioni con carta di credito per ricreare i loro percorsi già dal giorno prima della manifestazione dei primi sintomi. "Una donna di sessant'anni è appena risultata positiva" si legge in un sms. "Clicca sul link per vedere i luoghi che ha visitato prima di essere ricoverata in ospedale". Chi lo fa viene reindirizzato al sito di un ufficio distrettuale che elenca gli spostamenti. Gli sms non forniscono un nome ma un numero di caso, il genere e la fascia di età del contagiato. Cercando online però le query correlate includono "dettagli personali", "volto", "foto", "famiglia" o persino "adulterio".
In Italia non ci troviamo (almeno al momento) di fronte a misure del genere eppure, anche nel nostro paese, tra le vittime dell’epidemia di coronavirus rischia di esserci anche il diritto alla riservatezza.
E’ evidente, infatti, che poter disporre di informazioni relative al contagio consente alle autorità pubbliche di monitorare l’evoluzione della malattia, di garantire una più efficace operatività del sistema sanitari e ai cittadini di proteggersi.
Quanto sta accadendo offre pertanto lo spunto per domandarsi fino a che punto un’emergenza sanitaria possa comprimere e i diritti e le libertà degli individui.
A tal proposito occorre in primo luogo tenere presente che – come sancito tra l’altro dal Considerando 4 del GDPR – il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità.
Il 2 febbraio scorso, il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali ha emesso parere sulla bozza di ordinanza del dipartimento della Protezione Civile, recante “disposizioni urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”.
L’Autorità ha riconosciuto le misure previste dal Dipartimento idonee a rispettare le garanzie previste dalla normativa in materia di protezione dei dati personali nel contesto dell’attuale situazione di emergenza epidemiologica.Nello specifico sono state ritenute adeguate ed attuabili le attività di trattamento dei dati personali, connesse allo svolgimento delle attività di protezione civile allo scopo di assicurare la più efficace gestione dei flussi e dell’interscambio dei dati personali.Unica raccomandazione è stata quella relativa alla “necessità che, alla scadenza del termine dello stato di emergenza, siano adottate da parte di tutte le Amministrazioni coinvolte negli interventi di protezione civile di cui all’ordinanza, misure idonee a ricondurre i trattamenti di dati personali effettuati nel contesto dell’emergenza, all’ambito delle ordinarie competenze e delle regole che disciplinano i trattamenti di dati personali in capo a tali soggetti.”
In questo come in altri casi in passato, dunque, la tutela della salute pubblica è stata considerata preminente rispetto ad altri diritti fondamentali degli individui.
Quali margini di tutela restano dunque alla riservatezza di chi è anche solo sospettato di aver contratto il virus?
Il 2 marzo lo stesso Garante è tornato sul tema, invitando privati e pubblica amministrazione a non effettuare controlli generalizzati sulla salute di utenti e lavoratori.
La normativa d’urgenza adottata nelle ultime settimane – ha osservato il Garante - prevede che chiunque negli ultimi 14 gg abbia soggiornato nelle zone a rischio epidemiologico, nonché nei comuni individuati dalle più recenti disposizioni normative, debba comunicarlo alla azienda sanitaria territoriale, anche per il tramite del medico di base, che provvederà agli accertamenti previsti come, ad esempio, l’isolamento fiduciario. I datori di lavoro devono invece astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa. La finalità di prevenzione dalla diffusione del Coronavirus deve infatti essere svolta da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato. L’accertamento e la raccolta di informazioni relative ai sintomi tipici del Coronavirus e alle informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo spettano agli operatori sanitari e al sistema attivato dalla protezione civile, che sono gli organi deputati a garantire il rispetto delle regole di sanità pubblica recentemente adottate.

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